"Quasi a casa. Antropologia e cittadinanze rituali" Al via, negli spazi del COSPECS, una mostra sul nesso rituali/migrazioni

Non viaggiano solo le persone. A muoversi e radicarsi in luoghi diversi da quelli di provenienza sono anche le credenze e i riti. Giungono in Italia e si insediano vicino a noi genti che partecipano di una fede comune. Nel loro esprimersi, circoscrivono quartieri, individuano paesi e campagne, animano spazi urbani e rurali, distinguono paesaggi visivi, sonori, olfattivi. Contribuiscono così a ridefinire le forme del vivere sociale e dell’esperienza religiosa a livello quotidiano e festivo. 

I movimenti delle persone, i loro riti, gli spazi che abitano, sono processi. Si costruiscono, si aggiustano, si rimodellano pezzo dopo pezzo, strato su strato. L’antropologia partecipa a questi processi e a partire dall’esperienza, prova a riflettere sull’ecosistema che si connette ai fenomeni osservati. Nel rito, non conta solo l’azione performativa, intesa come opera compiuta; è importante l’impalcatura, il cantiere, il lavorio degli esseri umani che la producono e riproducono. 

L’esposizione "Quasi a casa. Antropologia e cittadinanze rituali" - a cura di Vincenzo Padiglione e Sandra Ferracuti con un allestimento a cura di Carmela Spiteri - traduce in forma di installazione museale, le ricerche prodotte nel quadro del Progetto di Rilevante Interesse Nazionale “Migrazioni, appaesamento e spaesamento: letture antropologiche del nesso rituali/migrazioni in contesti di Italia meridionale”, di cui è capofila l’unità di ricerca dell’Università di Messina, diretta dal prof. Berardino Palumbo. 

I ricercatori e le ricercatrici che hanno fatto parte delle quattro le unità di ricerca coinvolte nel progetto – oltre all’Università di Messina, l’Università di Palermo, quella di Catania e l’Università della Basilicata – hanno condotto indagini sul campo in contesti diversi: Bari, Palermo, Trani, l’area del metapontino e quella del messinese, Catania e Napoli. 

«Le ricerche che sono al cuore di questa esposizione gettano luce sul modo in cui le persone con background migratorio perseguono i loro intenti anche grazie ad un dialogo fattivo con istituzioni e associazioni locali» affermano i curatori. «In questi spazi si attivano così forme di cittadinanza che operano una doppia de-familiarizzazione: illuminano e comunicano visioni altrimenti inedite della condizione di migrante e dei riti collettivi, che non si svolgono solo a casa ma anche negli spazi pubblici». 

I testi, le immagini e i suoni delle ricerche, sono gli elementi a cui i curatori si sono ispirati e che hanno ricomposto sui loro trabattelli, metafora della cultura umana e della ricerca come cantiere, come lavoro perennemente in corso. 

«Il trabattello – continuano – viene proposto come struttura espositiva per la sua robustezza e componibilità. Un supporto “povero” ma forte e capace, nel suo essere riconfigurato ogni volta in modo artigianale, di evocare il mondo del lavoro e la necessità/opportunità di adattarsi comunque in modo decoroso e creativo, tanto più nei contesti rituali dei giorni di festa». 

Ospitata negli spazi del COSPECS, Via Concezione n. 6, l’esposizione inaugurerà venerdì 17 alle ore 17:30 e sarà visitabile per tutto il mese di febbraio.